Astronomica  Langrenus


 Il "Caso Linnè"  -  The Linnè crater

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  • 1 Image by Consolidated Lunar Atlas: Panoramica della regione fra il mare Imbrium e il mare Serenitatis col cratere Linnè. Sono visibili gli Appennini, i monti Caucasus e la palus Putredinis  -   Panoramic view of the region between Imbrium and Serenitatis with Linnè crater.  In this image we can observe montes Appennines, montes Caucasus and Palus Putredinis.


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  • 2 Image by Digital Lunar Orbiter Photographic Atlas of the Moon: Panoramica della regione fra il mare Imbrium e il mare Serenitatis col cratere Linnè  -   Panoramic view of the region between Imbrium and Serenitatis with Linnè crater


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  • 3 Image by Digital Lunar Orbiter Photographic Atlas of the Moon: Panoramica della regione fra il mare Imbrium e il mare Serenitatis col cratere Linnè  -   Panoramic view of the region between Imbrium and Serenitatis with Linnè crater 


Affrontiamo in questo articolo il caso Linnè (o Limneus, o Linneo …), un piccolo cratere situato nel mare Serenitatis, in merito al quale da circa due secoli si confrontano varie correnti di pensiero, ognuna con le proprie teorie più o meno scientificamente valide, ma si tratta pur sempre e solo di teorie. Innanzi tutto per osservare Linnè dobbiamo avere la Luna in fase di 6 giorni e dirigere il telescopio verso il settore settentrionale del nostro satellite, puntando sul mare Serenitatis, la grande pianura fra Imbrium e Tranquillitatis. Nel settore occidentale di Serenitatis noterete una piccola macchia biancastra staccarsi dalla colorazione più scura dei basalti superficiali, ubicata alla stessa latitudine dell’estremità settentrionale degli Appennini (Cape Fresnel) ma ad una distanza di circa 100 chilometri verso est. Per l’osservazione si rende necessario utilizzare un telescopio riflettore di almeno 200 mm di diametro in quanto si tratta di studiare un cratere di soli 3 chilometri, profondo circa 600 metri ma con pareti piuttosto ripide. Inoltre questo si trova circondato da uno strato di ejecta di colore chiaro e possiede un’elevata albedo. Tutte queste caratteristiche, oltre a facilitarne notevolmente l’individuazione strumentale, ne denotano un’età relativamente giovane, presumibilmente non superiore ad un miliardo di anni, risalente al periodo geologico denominato Copernicano. Nell’area circostante non vi sono strutture crateriformi di particolare rilevanza. Per rintracciare velocemente Linnè potete anche partire dall’estremità settentrionale del mare Serenitatis (immediatamente a sud di Alexander) dove spiccano cinque piccoli crateri disposti quasi in linea retta nel senso nord/sud; questi da nord in successione sono: Linnè-G di 5 km, Linnè-H di 3 km, Linnè-F di 5 km, Linnè-B di 5 km, Linnè-A di 4 km. Da quest’ultimo, in direzione sudest vediamo Linnè-D di 5 km mentre verso sudovest arriviamo a Linnè. Praticamente tutta la serie di questi piccoli crateri viene a formare una “ Y “ capovolta, individuabile con relativa facilità.

Ma veniamo ora alla peculiarità di questa interessante struttura che da parecchi anni ha attirato l’attenzione degli appassionati di osservazioni lunari, fino alla programmazione di vere e proprie osservazioni sistematiche sia in luce radente che col sole alto sull’orizzonte della Luna, raccogliendo una mole di dati non indifferente. Nelle antiche carte lunari Linnè viene rappresentato come un cratere piuttosto profondo e con un diametro di circa dieci chilometri, visibile pertanto anche in Luna piena. Venne disegnato per la prima volta nel 1652 da Riccioli, mentre Lohrmann nel 1824 ne rilevò un diametro di 7 chilometri. Nel 1830 Madler stima il diametro del cratere in dieci chilometri ritenendolo anche piuttosto profondo. Molto interessante la descrizione riportata da Alfonso Fresa nel suo “La Luna” (1933 U. Hoepli editore), << “Schmidt dell’Osservatorio di Atene, che lo aveva studiato fin dal 1841, rimase molto impressionato nell’ottobre del 1866 allorché ne constatò la scomparsa. Avvertiti di ciò alcuni astronomi, tra i quali P. Secchi, Wolf e Huggins, riconobbero che in luogo dell’edificio vulcanico con bordi ben definiti, come veniva rappresentato nella Carta di Beer e Maedler, appariva una macchia biancastra, diffusa, intorno ad un buco nero: piccolo cratere i cui bordi in luogo di essere prominenti erano bassi e presentavano un declivio quasi insensibile” >>. Fresa riporta inoltre un’annotazione di Maedler dopo avere osservato Linnè nel 1830 e successivamente nel 1867: << “Io lo trovai della medesima forma e colla stessa ombra, tale e quale mi ricordo di averlo veduto, sono già 37 anni. La modificazione di qualsivoglia natura che abbia potuto subire, dovrebbe dunque essere avvenuta senza lasciare stabili tracce, che avessi potuto scorgere” >>. Successivamente Padre Angelo Secchi ne calcolò il diametro in circa 2,3 chilometri, stima che venne poi confermata da Ludwig D’Arrest osservando Linnè da Copenhaghen con un telescopio di 10 pollici.

Con i moderni strumenti amatoriali, di Linnè si nota solamente una minuscola macchia di colore chiaro, mentre telescopi professionali rilevano la presenza di un cono craterico del diametro di circa un chilometro al di sopra di un modesto rilievo collinare ricoperto di materiali chiari. Vari osservatori hanno notato un’accentuata luminosità di Linnè all’uscita dall’ombra durante le eclissi totali di Luna. Abbiamo visto come nel secolo scorso il caso Linnè fece molto discutere gli addetti ai lavori, contrapponendo fra loro i sostenitori dell’origine meteoritica o di quella vulcanica dei crateri lunari, creando una vera e propria controversia non ancora definitivamente risolta nonostante l’invio delle moderne sonde intorno al nostro satellite.

Se realmente avvenuti, si tratta di mutamenti dovuti ad attività vulcanica residua ? oppure ad emissioni di gas dal sottosuolo che hanno temporaneamente oscurato il cratere alterandone la percezione dei dettagli ? Il variegato mondo degli Astrofili si è dedicato per lungo tempo e con grande energia alla ricerca dei cosiddetti fenomeni lunari transienti inserendo anche il cratere Linnè fra le aree destinate ad un costante monitoraggio. Contrariamente a quanto si crede il nostro satellite non è una roccia completamente inerte. Si devono a Baldwin negli anni Sessanta i primi dati sperimentali che rivelarono la produzione di calore da parte della Luna, mentre la strumentazione scientifica in dotazione alle missioni di Apollo 15 e Apollo 17 confermò la presenza di un flusso di calore endogeno, dovuto dal decadimento delle sostanze radioattive contenute nelle rocce, pari a circa la metà rispetto a quello presente sulla Terra; dati che indicano un’attività geotermica lunare pari al doppio di quella terrestre se consideriamo i relativi dati per unità di massa.

Un’eventuale alterazione nella percezione dei dettagli potrebbe essere la conseguenza dell’impatto di un piccolo corpo meteoritico nell’area circostante Linnè con possibile parziale demolizione dell’edificio craterico, senza scartare  neppure l’ipotesi della conseguente fuoriuscita di porzioni di materiale lavico dal sottosuolo, contribuendo in tale modo a cancellare una parte dei dettagli superficiali. Probabilmente il caso Linnè non è l’unico a testimoniare che, nonostante i soliti luoghi comuni, anche sul nostro satellite qualcosa sta cambiando, piccoli episodi che sono parte integrante della lunga storia geologica lunare. Può darsi che la soluzione del problema sia molto più semplice di quanto si creda, ma saranno comunque ancora gli Astrofili a doversi sobbarcare il piacevole compito di monitorare Linnè con una certa costanza.

A questo punto è d’obbligo una considerazione: Se l’esplorazione della nostra Luna con sbarco di equipaggi umani non fosse stata bloccata per ben 34 anni con motivazioni ufficiali più o meno plausibili, molto probabilmente oggi il caso Linnè sarebbe stato definitivamente risolto.


 

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